Week end a casa, sospesa in una sensazione un po’ irreale. Non è la visita in una città sconosciuta, non è la visita in una città che sento mia. Cioè un po’ sì, un po’ no. I percorsi sono conosciuti, i negozi sempre meno. Da questo punto di vista la città è dinamica. Ogni volta che torno conto le attività che sono state fatte fuori da questa crisi che pare infinita. E ogni volta che una piccola attività si arrende e una multinazionale prende il suo posto muore anche un pezzettino di identità. Risuona dentro di me un: ‘OH noooo!’ non tanto perchè la città diventi più brutta. Ma è un punto di riferimento che sparisce, e non avrò mai il tempo di rimpiazzarlo, o comunque non lì, ma altrove. Cioè dove vivo ora. Sarà anche giusto così. Normale. Ma è un inesorabile allontanarsi. E un po’ mi rende triste.
Prima mi affannavo a portare spesso Giovanni, a fargli respirare un’aria da seconda casa, un posto che gli facesse piacere ritrovare un giorno, anche quando non ci saranno grandi motivi, un pezzettino di cuore, di radice. Come si dice, lo scopriremo solo vivendo. Ora con gli impegni scolastici e lavorativi è sempre più difficile organizzare le trasferte. Ma mi rendo conto che sono solo scuse. E’ che la bilancia pende per la vita di tutti i giorni, si vedono gli amici, i ritmi possono essere rilassati. Probabilmente è così che dev’essere: inevitabilmente, si deve lasciare andare un vecchio amore per dedicarsi a quello nuovo.
Altrimenti come faccio a scoprire gli scorci che mi danno serenità? Trovare il luogo giusto dove poter fare due chiacchiere quando ho bisogno di distrarmi? O quello in cui, al contrario, riesco a non perdere tempo perché la cordialità non abita lì? Sono queste le cosè che rendono un luogo il mio luogo. Quindi, oggi, vivo quasi da turista, ma per poco: domenica torno a casa.