La mia amica ogni tanto mi racconta delle storie, poche rispetto al mondo con cui si confronta quotidianamente. Mi racconta di quella ragazza, capace di amare, di mettere al mondo due figli e che, durante l’ultima gravidanza, scopre di essere malata.
Decide di non curarsi. Dopo il parto, lotta come un leone una guerra già persa in partenza. E ora, immagino io, si gode secondo per secondo, millimetro per millimetro, i suoi bambini, la sua vita, tutto quello che arriva. Sorridente, perché quando hai i minuti contati, sai benissimo come non perdere tempo in inutili rabbie.
Poi, mi è capitato passeggiando con Romeo, di trovare quel signore disteso per terra, mezzo nascosto dal muretto, con lo sguardo perso, senza la forza di chiedere aiuto. Mi sono avvicinata, l’ho aiutato a rialzarsi, l’ho accompagnato a casa. Mi ha raccontato la sua fatica di vivere, in un momento della vita in cui hai già vissuto, e ora questo inutile affanno verso il tramonto.
Quando apro internet o la televisione, vedo giovani e non uscire di casa con mazze e catene, consci di far male e farsi male, per una partita, o non so cosa, mi prende lo sconforto. E’ questo il mondo che non voglio. Queste persone hanno meno prospettive rispetto alla ragazza condannata dal male. Non vedono. Non sentono. Non amano.