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Scarabocchiando dei palloncini, ieri, ho ripensato a quelli, da bambini, che una volta rientrati in casa, lasciavamo volare sul soffitto: imprendibili. Troppo in alto. Non saprei dire quale fosse l’altezza del soffitto. Mi sembrava gigantesca.
L’unica soluzione era aspettare che, col tempo, piano piano, scendessero verso terra. Ma a quel punto erano brutti, mezzi sgonfi, lenti. Perdevano ogni fascino.
Ieri pomeriggio, nella piazza della chiesa, all’improvviso.. delle urla. Era una signora che, sguaiatamente, senza grazia e, apparentemente senza amore, rimproverava aspramente la madre. Arrivando anche al penoso ricatto morale: “Sarai TU che mi farai morire….” raggelando tutti noi, testimoni di tanta volgarità.
Questa scena mi ha profondamente rattristata. E, spontaneamente, ho pensato di dire a Giò: ‘Non farlo mai, ti prego.. piuttosto non occuparti di me’. Giovanni non c’era, non ha visto nulla, e nulla gli ho detto.
Com’è difficile, l’amore. Quante volte si trasforma in obbligo. E tira fuori la bestia che è in noi. Da piccola pensavo che tutto fluisse naturalmente. L’amore per la famiglia, gli amici, chi ci sta intorno, la casa, persino le cose. Tutto fa parte di un quadro che ci appartiene. E di cui dovremmo occuparci perché è prezioso, inestimabile. Rifiuto il concetto di dare/avere e le persone che ragionano con la bilancia in testa… Tutti prendono e tutti danno, perché è così. Ma bisogna saper prendere. Il problema è porsi come misura del mondo. Se si danno chili d’amore, capiamo quando ce li restituiscono in litri? Se vogliamo che il nostro amore venga riconosciuto come tale, dobbiamo essere in grado di riconoscere l’amore altrui.
Oggi mi sento come quei palloncini, a metà tra il soffitto e il pavimento. Vorrei ignorare la cronaca di questi giorni e pensare che vivo in un mondo perfetto.