Quando ho conosciuto P, o meglio, il suo mondo, una delle figure più importanti eri tu: A.
E quando mi hai aperto la porta hai iniziato a raccontare. I tuoi figli alzavano gli occhi al cielo, per quelle storie sentite decine di volte.
A casa mia gli aneddoti sono rari. Alcune persone sono addirittura avvolte nel mistero. Per cui sentire raccontare di parenti e amici di cui spesso non conoscevo nemmeno il volto lo trovavo divertente e affascinante e mi sembrava di entrare così a far parte veramente della vostra famiglia.
Poi i racconti si ripetevano, è vero; ma io non mi stancavo di ascoltarli.
Non abbiamo forse mai dato tanto peso a questa tua tendenza a ricreare questo mondo rendendo vivi i ricordi. Era come se il presente fosse fuori dalla porta di casa. Dentro c’era quella ricchezza umana che la morte di G si era portata via. Ognuno reagisce seguendo il suo cuore e il suo carattere. Trovando la consolazione dove crede di stare meglio.
Molte cose davamo per scontate. Molti errori, probabilmente, abbiamo fatto.
Poi i tuoi ricordi sono andati ancora più lontani. Mi parlavi come si parlava a una sconosciuta, perché questo ero per te. Ancora, qualche anno fa, mi hai raccontato cento volte della tua infanzia in quel paese straniero, dei tuoi fratelli che ogni volta cambiavano di numero. Come in un loop, finita la storia ricominciava, con particolari diversi. E io che ti dicevo sì con aria fintamente stupita chiedendomi dentro dove fossi veramente.
Oggi non sappiamo più dove sei. Oggi non riconosci più nessuno. Ma c’è una persona che ti ha ritrovato. Ha lasciato le difficoltà, le incomprensioni, la rabbia dietro alle spalle. C’è un figlio che ha ritrovato sua madre. Forse, mi spingo oltre: c’è un ex bambino che ha ritrovato la sua mamma. E in quei sorrisi che solo a lui riservi mi piace pensare a una mamma che vive ancora qualche istante con il suo bambino.