
La musica del mare termina sulla riva o nel cuore dell’uomo che ascolta?
(Khalil Gibran)
Ieri è successo di nuovo. Hai presente? Manca l’aria… non riuscire a respirare… Non agitarsi… mettersi al comando del proprio corpo e governare le risorse… Il mondo esterno lo vedo, si preoccupa ma non posso dire: ce la faccio, datemi il tempo! Devo concentrarmi solo sul respiro e cercare di modularlo. Poi passa, tutto passa, anche se ogni volta sembra una scommessa con la vita.
Pensavo al mare, a quanto mi manca. Per un certo periodo abbiamo frequentato una casa in riva al mare. L’intensità emotiva veniva fuori soprattutto d’inverno. Niente voci, niente bambini. Solo il frastornante eterno dialogo del mare, delle sue onde e del vento. Ti rimetteva a posto, rimpicciolendoti al reale ruolo che la nostra vita ha rispetto al resto. Pensavo che quando s’incazza, vince lui. Ma sa darti tutto e il contrario di tutto, se sei disposto a metterti in gioco.
Pensavo a quando ti nasce un figlio, a quanto bisogna semplificare di noi per poter stabilire un dialogo in continua trasformazione con un’essere che è quasi una lavagna bianca. Pensavo a quanto sia salutare questo viaggio. Per fare pulizia e capire che da quel momento, e per sempre, ci sarà qualcuno più importante di noi stessi. E quanto è meraviglioso accorgerti che quello che dai è ben poca cosa rispetto a quanto ricevi, se sei disposto a metterti in gioco.
Pensavo al mare in tempesta, a quando non sai se contrastare la violenza delle onde o lasciarti trasportare per ripartire da qualche parte del mondo quando tornerà il sereno. Ogni viaggio ci porta alla meta.