Le foto cadute nell’acqua seguono traiettorie disordinate. Le osservo mentre si allontanano con quella lentezza che fa perdere anche me in un labirinto di confusi ricordi. E mi ritrovo, bambina, in un contesto tanto diverso dal mio, grandi palazzi, tanti tanti bambini che giocano per strada e io che vengo rapita da tutto questo. Non mi ricordo se ho pianto quando mi hanno lasciato lì. Ma i gruppi di bambini che vivono, giocano e crescono tutti insieme mi fanno pensare che questo posto sia molto ma molto vicino alla felicità. E si esce anche la sera. E si ride. Fino a quando si crolla, sorridenti, aspettando solo che la notte corra via velocemente per ritrovarsi tutti giù domani mattina.
Cambia il panorama e mi ritrovo lievemente più grande, ma non tanto, quando si arrivava al mare, per quelle interminabili vacanze, dove cercavo di ricreare un piccolo mondo tutto mio in case in cui ci ritrovavamo improvvisamente tutti vicini. E il primo giorno, quando mi svegliavo in questa nuova situazione, respiravo profondamente e sentivo crescere dentro di me la curiosità per un’estate carica di promesse di cui ignoravo i confini. Era una sensazione intensa, magica. Comunque andasse, non mi sono mai sentita tradita: la vita vale più di quelle promesse non mantenute.
Poi quelle sere, intorno al fuoco, ragazzi e ragazze, si cantava, si giocava. Nelle tende condividevamo il resto. I lunghi discorsi. Serene risate. Il futuro così vicino che lo potevi toccare.