Le luci si abbassano. Gli ottantamila, allo stadio, urlano, in delirio, per l’inizio del concerto. Uno strumento solo, poche note, apoteosi: ottantamila persone, un’unica assordante emozione.
Io lì, al centro del palco… ehm ehm… al centro della cameretta, rigorosamente chiusa, che afferro la spazzola e inizio a cantare, e ballare.
Era il mio mondo, inaccessibile ai più. Pieno zeppo di disordine, mescolato a sogni, amori impossibili, voli nel regno delle infinite possibilità. Lì dentro ero la più bella, la più intelligente, la più più più…
Potevo essere tutto: dalla campionessa di sci alla rockstar, passando per la grande artista, il medico e l’avvocato…
Le interminabili telefonate con le amiche, piene di enormi certezze: meno avevamo vissuto più eravamo sicure di tutto: dei grandi amori, della prima volta, del senso della vita….
Dov’è finito tutto questo? Quanti compromessi ho dovuto accettare per allontanarmi così tanto dall’essenza delle cose? Perché non pensare che ancora oggi il mondo è pieno di infinite possibilità che sono a disposizione di tutti? Perché cercare a tutti i costi l’equilibrio, se è proprio questo a provocare il buco nero di ansia che accorcia la catena e mi aggancia là dove faccio più fatica a restare?
Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete tornare.
(Leonardo da Vinci)