
Bastava camminare, un passo dopo l’altro: facile!
Durante il conto alla rovescia, qualcosa si è inceppato. All’improvviso, una tormenta, una specie di tempesta di sabbia mi ha graffiato la faccia, chiuso gli occhi, sollevato da terra, cancellato le tracce. Il vento, fortissimo, mi ha fatto volare: purtroppo non verso l’alto ma giù giù, nella terra profonda delle ombre più terribili, quelle che determinano lo squilibrio, tolgono il fiato, ammaliano con ragionamenti sottili e armano la mia mano con lame distruttrici. E io colpisco e distruggo, con l’orgoglio della paura.
E poi il vento tace, la sabbia scompare, apro gli occhi e il mio mondo non c’è più.
Cerco di mantenere la calma, di respirare cercando serenità, di rimanere lucida. Dopo tanto tempo, ho sentito esplodermi dentro l’esigenza di un abbraccio, di quelli che, stringendoti, stritolandoti quasi, ti fanno capire che c’è qualcuno che ti protegge. Ho pensato a un uomo. Che fosse nonno, padre o figlio, non c’è nessuno che mi possa accogliere oggi. E, mannaggia, l’ho sentita cadere, quella stupida lacrima.
Il fatto è che non mi ricordo qual è il programma di oggi. Mi ripeto le frasi consolatorie: ‘Nulla accade per caso. La vita vede meglio di me. Quello che succede è sempre l’opzione migliore’. Anche no. Ma non posso attaccarmi con le unghie alle situazioni o alle persone. Devo lasciare andare chi non ha più voglia. Elaboro un piccolo piano B.
Inizio a camminare. Domani sarà forse un po’ più facile. O forse no. Cercherò nuovi stimoli. Inizierò a scrivere quella storia. Musica a tutto volume. Non ho più voglia di pensare.