L’appuntamento è vicino alla scuola, ma non troppo: chissà cosa potrebbero pensare vedendoti con me. La cosa mi diverte, ci siamo passati tutti da lì.
In metropolitana è una bambina che attira la mia attenzione: avrà più o meno due anni. Una mano stretta stretta a quella di suo papà, rigorosamente occupato al telefono; con l’altro braccio abbraccia un pupazzo. Gli occhi scrutano il mondo adulto, intorno a lei. NON ricambiata, ovviamente. Ognuno di noi vive dematerializzato. Possiamo essere ovunque, l’impressione è che non ci siamo veramente. L’attenzione è tutta lì, dentro il nostro smartphone. Chissà se a due anni ci si pongono delle domande, osservando il mondo dei grandi così distante da tutto, soprattutto dal qui e ora.
Scendiamo alla stessa fermata. Finalmente sorride. Il papà ha chiuso il telefono e l’ha presa in braccio, le parla e, giocando, si allontanano.
Chiudo il mio, di smartphone, per godermi questo momento con G. E lui fa altrettanto. Bene. Pranzo shopping e chiacchierate, era quello che speravo. In un alternarsi continuo di sfottò e discorsi seri, qualche confidenza e di nuovo il sorriso.
Il rientro vorrebbe spezzare tutto, come se la serenità, il sorriso o il dialogo avessero bisogno di un padrone a scandirne i tempi. Non è così, non è più così.