
Camera 1 – camera 2 – Divano: ambarabà ciccì coccò… a me tocca il divano, bene! Più spazio, più aria, grande finestra su quel che resta del mondo. Non posso chiudere la porta, è uno spazio aperto, ma loro si chiudono, e da qualche anno le porte chiuse non le sopporto più.
Guardo la mia fotografia, pixel dopo pixel, l’istante precedente a quando tutto si è fermato. Ripenso a ogni passo fatto negli ultimi mesi, che aveva senso e coerenza rispetto al precedente. E a quello successivo. Anche tutto questo?
Un giorno ripartiremo. Certo. Verso dove? Ho perso la direzione! E quando la mia testa sorvola questi territori è finita, vengo catapultata in una dimensione da incubo, il vuoto si apre dentro di me, basta veramente poco. Quindi prendo un libro, o scrivo, o abbraccio Giò. Sono tutti salvagenti: ritrovo un mio equilibrio.
Sinceramente. Se l’istantanea fosse stata di un attimo qualunque di tre anni fa, non so come ne sarei… ne saremo usciti. Vivi o morti? A pezzi sicuramente. Si respirava rabbia, frustrazione, solitudine. Talvolta odio. Mi era esplosa dentro l’urgenza del cambiamento, perché stavo progressivamente morendo e finalmente me ne ero accorta. Avevo capito. E reagito. Ma la forza era poca.
I diecimila passi, la dieta, il lavoro, vecchi e nuovi amici, il corso di scrittura, il tirocinio…. Era una partita a scacchi con la vita, ogni mossa era indissolubilmente legata alla contromossa dell’avversario, il destino. La cosa importante è che tutto andava, in certi momenti a una velocità impressionante. Poi rallentava e poi riprendeva. Non si fermava mai. Una sorta di otto volante a moto perpetuo, continui alti e bassi, lunghe salite e vorticose discese. Ogni giro distruggevo un tabù, ogni marmorea credenza inculcatami negli anni perdeva improvvisamente senso, si sbriciolava, lasciando spazio a nuove incredibili avventure, di cui ignoravo persino l’esistenza.
Ecco. Fosse successo tre anni fa, probabilmente avrei pagato un pezzo molto alto, forse senza rendermene conto, veramente. Oggi è faticoso, doloroso, frustrante. Assurdo. Ma preferisco pensare anchi’io che, alla fine, TUTTO ANDRA’ BENE