
Ieri sera ho partecipato a un incontro sul bullismo in età pre-adolescenziale.
Per ora nessuna avvisaglia di problema ma, vista l’età, meglio avere delle informazioni per arrivare in qualche modo preparati. Ovviamente mi sarebbe piaciuto uscire dalla serata con le idee chiarissime. Una chiave semplice per un problema complicato.
Quando le slide stavano terminando, e io ero forse più confusa rispetto a quando sono entrata, una giovanissima voce irrompe da dietro le mie spalle. “Io sono vittima di bullismo”. E’ stato dirompente. Due ragazze di 15 anni che, improvvisamente, rendono concreta tanta teoria. Una, in particolare, ha iniziato a parlare e più andava avanti più sentiva le lacrime trovare finalmente uno sfogo. In un certo senso, questa la mia personale impressione, avere trovato un interlocutore adulto dopo che scuola e famiglia avevano banalizzato il problema, ha aperto un varco al suo dolore e ha potuto, per certi aspetti, condividerlo.
Non guardava nessuno. Semplicemente parlava e piangeva. E parlava. E piangeva.
Non è stato facile spazzar via quel senso di fallimento. Sentirsi nella parte sbagliata del problema. Perché non me la sento di dire che non mi possa succedere. Da una parte c’è una metamorfosi in atto. Un ragazzino che passa dal mondo protetto all’autonomia. E questo passaggio è vissuto in un altalenarsi di euforia e rabbia. Un minuto prima ti abbraccia e ti bacia sorridente poi arriva come posseduto urlando cose terribili. I NO sono all’ordine del giorno, la sfida è continua. Ed è facile cadere nel tranello e combattere nel terreno che ha predisposto. Non sempre succede, ma succede.
E dove c’era un libro aperto ora ci sono degli squarci, quelli che lui ha voglia di condividere. Queste sono le carte e con queste devi giocare. E la fiducia te la conquisti tutti i giorni e tutti i giorni viene messa in discussione. Le antenne devono rimanere in costante allerta e i segnali più flebili sono quelli più rivelatori.
Ok, ci siamo passati tutti, e alla fine se ne esce. In questa fase, l’unica cosa è ricordargli, sempre e comunque, che il mondo protetto c’è ancora. Lui sta costruendo il suo di mondo, ma non è solo anche se, malauguratamente, incontra qualcuno che gli fa credere che è così. Se noi oggi siamo il modello da cui fuggire, siamo anche quelli pronti a scattare se tende la mano.
Quando io ero alle elementari, ricordi vaghi, c’era un bambino che mi infastidiva. Allora mi ero accordata con la maestra di usare una parola segreta che, se l’avessi pronunciata, lei sarebbe corsa in mio aiuto. Il solo fatto di avere un’arma in mano, di non sentirmi sola, mi ha dato la forza di sostenere la situazione. Perché l’adulto, in realtà, non può risolvere il problema. Lo peggiorebbe e l’autostima crollerebbe. Sono equilibri delicati, dove famiglia scuola e amici dovrebbero muoversi in sintonia.