Tranquillamente scrivo. Divano, gambe incrociate, portatile. Il resto mi sembra lontano quando le parole mi bussano dentro e urlano per poter uscire. Una danza sfrenata, nella mia testa, discorsi disordinati che si allungano, si accorciano, si combinano. E piano piano metto a fuoco. Osservo il serpentone di lettere e parole e tutto ha un senso, il mio senso.
Non mi resta che scrivere, a questo punto. E cercare di afferrare le altre immagini e i colori che aspettano in disparte di raggiungere la tela, la mia tela.
Voci lontane piano piano mi raggiungono. La discussione che proviene dalla cucina ha già raggiunto toni fastidiosi.
Sospendo il mio viaggio.
Altre parole improvvisamente mi scoppiano dentro, dure, violente.
Non è ancora il momento.
Respiro. Vedo le gocce. Quelle che da un bicchiere anestetizzano tutto, lasciandoci solo la visione di quella faccia, specchio di una rabbia ingabbiata chimicamente.
E quelle più brutte, e cattive, che scavano dentro, giorno dopo giorno, buchi nell’anima di cui ignoro la profondità.
La scrittura come unica via d’uscita
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Non unica, ma la più potente. Per me.
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